“IL
TEMPO SCORRE COME UN FIUME, MA L’ANIENE NON DIMENTICA”
E’ il motto che
accompagna il logo della Rete per la storia e la memoria della
Resistenza nella Valle dell’Aniene, con sede nel Comune di Castel Madama). (www.anieneresistenza.com)
“Il tempo scorre come un fiume, ma l’Aniene
non dimentica”. È una bella frase polisemica, quindi “difficile”,
inventata da uno studente di oggi.
Per commentarla
possiamo ricorrere alle testimonianze dirette e indirette sui
fatti, e soprattutto sulle emozioni e i sentimenti, che sostanziarono
“Il tempo scorre come un fiume…”:
certo, è una metafora ben radicata nella nostra cultura e saggezza popolare. Il
fiume porta via tutto, il bene e il male, inducendo
all’oblio e all’indifferenza. Così pare. Anche del tempo si può dire che cancella tutto...Ovviamente
l’importante è che le popolazioni alle sponde del fiume siano veramente consapevoli
del presente e del “passato che non passa”: abbiano, cioè, una cultura vivente, ricca
di esperienze riflesse e di “racconto
intergenerazionale”.Se questo fosse assente, saremmo al “nomadismo delle menti”, fuori della
cultura e tradizione della comunità locale.
Il pericolo non è tanto il tempo che passa- o delle correnti nel fiume
(“ne è passata di acqua sotto i ponti!”)- ma l’assenza di un’autentica
cultura della riflessione su di sé e sul passato. Guai ad essere tutti
imbrigliati nel “presentismo” televisivo: solo immagini - l’una delle quali
cancella l’altra-, e “pensiero sbrigativo”! Occorre che ogni generazione s’impegni
ad un lavorio di elaborazione del passato.
Le televisioni, al contrario, mostrano più il lontano che il vicino e
contribuiscono a interrompere la grande
narrazione del passato, nel silenzio quasi “imposto” ai libri e agli anziani,
cioè ai testimoni.
Il Prof. Domenico Federici, negli anni ’60 ha scritto un articolo-saggio
intitolato “La unità della Valle dell’Aniene”, in cui afferma che il fiume Aniene trasporta e racconta tutte le storie della Valle e delle
convalli fino a Tivoli, dove s’incontrano e si unificano. E’ vero. L’Aniene - il popolo
dell’Aniene - sa anche narrare.
Da Filettino a
Ponte Mammolo e Casal Bertone
Nel caso della Resistenza nella Valle dell’Aniene (dall’11 settembre1943
al maggio- giugno1944) l’Aniene è stato testimone di molti fatti della
Resistenza contro l’occupazione nazi-fascista: della Resistenza attiva e di
quella realizzata dal sacrificio delle molte vittime.
Storia delle
Resistenza Aniense
Altri autori hanno scritto efficacemente la storia dei fatti della
nostra Resistenza, sulla base di documenti, testimonianze, fotografie e
interviste ai protagonisti. Siamo nel tragico 1944. Il 26 maggio avvenne la fucilazione dei 15 di Madonna della Pace (cittadini di
Agosta, Canterano, Cervara, Rocca Canterano e Subiaco); il 6 giugno: strage di Colle Siccu (cittadini di Castel Madama
e Tivoli); il 7 giugno: strage delle Pratarelle
( cittadini di Vicovaro); 8 giugno eccidio di Valle Brunetta ( cittadini di Cervara di Roma).
Giuseppe Panimolle, di Agosta, si
accinge a pubblicare (dopo oltre un quarantennio dalla prima edizione) - per
impulso della Rete per
Altri sono impegnati in un analogo lavoro storico, per immagini e musiche.
Ad esempio il “video” “FUI”, di Anacleto Lauri dell’Associazione VOC di
Castel Madama. E inoltre in mostre storiche di cimeli della Resistenza.
Le scuole hanno cominciato ad organizzare visite guidate nei luoghi
degli eccidi. Tali “sacrari” sono stati restaurati con decoro. Tutto questo è
un freno all’oblio. E’anche un invito ad approfondire i “perché” dei tragici
fatti: di chi furono le responsabilità. Come si rovesciò, contro le nostre
popolazioni, la ferocia della volontà di
potenza di ideologie
guerrafondaie e razziste. Perché occorre sempre fare argine
contro prepotenti e sopraffattori di turno, nostrani o estranei. Perché occorre
bandire ogni acquiescenza, opponendosi a chi minimizza le colpe e gli orrori.
MEMORIA DELLA
RESISTENZA
“L’Aniene non dimentica”
Vorremmo dedicarci alla memoria, al dolore, ai sentimenti diffusi tra le
popolazioni Aniensi di allora e di oggi. Ci rendiamo conto che è arduo smuovere
emozioni e sentimenti profondi. Esiste un’eredità comune anche dei sentimenti e
delle emozioni? Sì, solo se è testimoniata, richiamata ed espressa da qualcuno:
è cultura immateriale, affidata
anche ai singoli.
L’Aniene non dimentica.Il fiume è personificato;
è come un essere pensante che non si toglie dalla mente persone, vittime e fatti della Resistenza. Non se li toglie
soprattutto dal cuore (non li
scorda).Non è andato
disperso- e non si deve disperdere oggi e domani- il significato umano
di affetto, compassione per le vittime, orrore per le violenze, il raccapriccio
per quanto è potuto accadere. E, di nuovo, e soprattutto, l’avversione e
opposizione anche per la più piccola avvisaglia totalitaria, razzista e
bellicista che
si manifesti oggi o domani.
Ci si sentiva disprezzati dai nazisti occupanti, come se fossimo una
“razza inferiore”. Le marce ritmate degli scarponi tedeschi e i loro canti bellicisti
rumoreggiavano contro la nostra dignità di persone.L’urlo
e lo strazio che univa i cittadini “rastrellati” per le fucilazioni, le loro
famiglie, i vicini di casa, fino nelle campagne, non deve essere dimenticato né
ora né mai. Si soffre ancora se ci s’immedesima,
nei luoghi stessi in cui gli eccidi avvennero, nella situazione reale. Le foto, le date di nascita dei nostri concittadini fucilati, ci commuovono . Tranne che in qualche colpo di mano isolato, i nostri
concittadini non avevano intrapreso veri atti di guerra nei confronti delle
truppe occupanti, ma solo ostilità implicita e resistenza passiva. Più che altro, come nel caso di Ottorino Passariello di Tivoli -
direttore della Centrale Elettrica di Subiaco- avevano salvato gli impianti dal sabotaggio
dei guastatori SS dell’ultima ora. Per proteggere prigionieri ”alleati”
sfuggiti ai campi, molti nostri concittadini si sono esposti alle più dure
rappresaglie. Per proteggere gli Ebrei sublacensi, li fecero nascondere presso
il Sacro Speco, fino al termine del pericolo. Anche qui con grave esposizione
personale.
Le riflessioni di oggi non devono sfociare nell’odio per le persone dei fucilatori, ma piuttosto per le idee
aberranti di chi li mandò allo sbaraglio, con ordini criminali di “sparare a
vista”. I soldati occupanti, pur colpevoli, erano a loro volta presi
nell’ingranaggio micidiale dell’organizzazione ideologica e bellica nazista,
che metteva in conto violenze e rappresaglie anche contro le popolazioni
civili. Non odio quindi, perché è stato l’odio sopraffattore all’origine di
tutti queste aberrazioni.
La memoria del
cuore
Tentiamo un parziale “viaggio” attraverso i luoghi in cui più che
altrove le grandi emozioni si sono manifestate nel popolo: spavento, smarrimento,
ribellione morale, compassione per le vittime, sdegno per i responsabili
A Filettino, come altrove, ci
furono rastrellamenti alla ricerca di militari “alleati” fuggiti dai campi di prigionia di
Alatri e Carpineto Romano. Venivano”rastrellati” pure i civili sospettati di
dare protezione a quei militari "alleati". In questi casi tutta la
popolazione, minacciata di morte, trema, bloccata dalle armi spianate, nella
piazza, per ore.
A Vallepietra, sempre alla
ricerca di prigionieri fuggiaschi - inglesi, americani e australiani -, i nazisti
cominciarono a sparare cannonate su per la montagna, in direzione del Santuario
della SS. Trinità. Fin qui, poca paura e molta curiosità, perché i proiettili
si disperdevano nel bosco…
Poi, riunione forzosa di tutto il popolo in piazza, con minaccia di
morte se non si notasse una concreta collaborazione. I Vallepietrani - solo
donne, vecchi e bambini (perché i giovani si sono
nascosti per sfuggire all’arruolamento nella Repubblica Sociale Italiana ) si
stringono tra loro, si abbracciano e non riescono neppure a parlare. Per loro
parla - eccome!- il Parroco Don
Salvatore Mercuri. Le sue parole coraggiose e la sua persona imponente,
dopo alcune ore, allontanano il pericolo. A Jenne,
analogamente la pena fu grande e le famiglie si nascosero, per quanto poterono,
nella campagna, nei boschi e a Fondi di Jenne, confondendosi con i pastori. Nei vari paesi c’è
sempre un tam-tam di donne che ripete:
”Uomini, scappate, i tedeschi vi cercano
per farvi fare il militare per loro!”.
A Subiaco l’11settembre 1943
fu un giorno di ansia, rabbia, sorpresa, indignazione e..
infine rassegnazione al peggio! Gli storici locali raccontano che nel mattino
una pattuglia di tedeschi motociclisti, armati di fucili mitragliatori,
sparando qua e là, raggiunsero l’ex Stazione ferroviaria, dove, nel frattempo i
2-300 soldati italiani del distaccamento della Divisione “Piave” si erano come dissolti -(“Tutti a casa!”)-: avevano gettato le
loro armi e divise, avevano raccattato
abiti civili, e si erano dileguati. Qualche nostro soldato più anziano,
mentre si cambiava furiosamente di abito, sbottava di rabbia contro i comandi
militari italiani che aveva emanato ordini contraddittori. Intanto il re
d’Italia, in fuga da Roma, percorreva la via Tiburtina da Roma a Pescara,
sostando brevemente ad Arsoli.
I tedeschi, sostenuti dal generale Graziani in abiti civili, prendevano
posizione e venivano rafforzati
da altre loro truppe giunte a Subiaco. Passò qualche giorno in cui ogni
autorità locale era “spiazzata”, fino a che il comando tedesco sostenne la
“continuità” dell’autorità del Podestà e dei Carabinieri, per collaborare in qualche modo al
controllo dell’ordine pubblico e della sicurezza.
Qualche giovanotto sublacense pensò bene, nella confusione, di
“svaligiare” divise, elmetti, coperte giacenti nell’ex deposito militare
italiano nel Palazzo della Missione e accanto alla caserma di Palazzo Piatti
Moraschi, in Viale delle Repubblica. Tutto questo materiale sembrava
utilizzabile, data la penuria e fame generale. Un drappello armato di tedeschi
sorprese gli “svaligiatori”: qualcuno ne strattonò e sei furono bloccati,
incarcerati e minacciati di fucilazione, se non fossero stati riconsegnati
subito tutti gli oggetti sottratti, tra cui non c’erano armi.
I familiari degli incarcerati, in grande pena, fecero il giro delle case
per recuperare tutto e riconsegnarlo. In quella circostanza si distinse per
intelligenza e coraggio il giovane parroco Don
Igino Roscetti, che fece da mediatore e garantì con la sua persona. Alla
fine i nostri giovani furono liberati. Ma Don Igino maturò la convinzione che
occorresse organizzarsi per non restare troppo a lungo alla mercé degli
occupanti, mediante una rete di solidarietà a favore dei prigionieri alleati in
montagna alla Crocetta, degli ebrei sublacensi e dei giovani italiani renitenti
alla leva della RSI. Di tutte queste vicende Don Igino scrisse un memoriale, rintracciato da poco nell’Archivio
di Stato da Alessandro Scafetta, storico locale. Dopo
la guerra Don Igino ottenne una medaglia al valore della Resistenza.
A Subiaco, mesi d’incerta
e sospetta convivenza.
L’occupazione continuò nel segno di un’ambigua convivenza tra occupanti
e sublacensi. Il Comando tedesco evidentemente aveva ordinato di non calcare la
mano sui civili “occupati”, contro i rischi di boicottaggi, sabotaggi o
attacchi armati. E per molto tempo furono evitate le esasperazioni degli animi
dei sublacensi: non ci furono atti di aperta ostilità.
Erano state perquisite molte case alla ricerca di armi, anche se da
caccia: molti cacciatori avevano nascosto bene in grotte o fienili i loro fucili
da caccia. Non fu trovato niente!
Nel tentativo di fraternizzare con la popolazione, fu tollerato il
piccolo scambio: sei uova per un tozzo di pane nero tedesco! E anche per
qualche sigaretta. Si organizzò anche una partita di calcio tra “occupanti” e
sublacensi…
Abbiamo accennato agli Ebrei residenti a Subiaco, minacciati di
rastrellamento e deportazione. Essi furono protetti e nascosti al Sacro Speco
di S. Benedetto. Molti
sapevano ma tacevano, per proteggere gli Ebrei. Taceva anche il
monaco benedettino Don Paolo Strassen,
tedesco sì, ma legato alla bontà evangelica e alla Regola Benedettina.
Poi furono requisiti muli e asini per il trasporto di materiali per
costruire la linea difensiva di capisaldi tedeschi da Bellegra a Colle Colle Barili e
a Monte Calvo. In realtà erano obbligati anche i mulattieri sublacensi,
mascherando la cosa con il pagamento di un’illusoria paga di cinquanta lire al
giorno, monete stampate sul posto da ridicole macchinette tedesche.
In seguito, mentre filtravano le notizie proibite dell’avanzata alleata
dal Sud d’Italia, i tedeschi si diedero al “vino
zucchero”, all’indisciplina. Ai primi mitragliamenti alleati verso il Belvedere, gli occupanti costrinsero i passanti al lavoro
di picco e pala. Tra gli altri l’Avvocato Pomelli. Se la presero
persino con i bambini che facevano pipì sotto i loro camion militari,
mascherati di frasche, per nasconderli agli aerei “alleati”, che cominciavano a
fare apparizioni improvvise.
Reazioni alle
violenze private tedesche
La soldataglia tentò di insinuarsi in qualche casa privata. Furono
sempre respinti. Il Comando tedesco volle dare l’impressione di intervenire a
favore delle famiglie sublacensi e spedì al fronte i responsabili. Questo
drammatico equilibrio durò ancora per un po’, poi l’occupante gettò la
maschera, mostrando sopraffazione e violenza.
Militari del Battaglione “repubblichino” di stanza a Subiaco, che
rastrellavano i renitenti alla leva della RSI, uccisero a fucilate il giovane Giulio Valente, che fuggiva lungo Via
della Pila, proprio lungo l’Aniene. Una bambina di dodici anni fu colpita a
morte, in Via dei Piattari, solo perché dalla sua cameretta filtrava una lama
di luce, nell’oscuramento notturno. I
due fatti provocarono ondate di rabbia tra la popolazione. Anni dopo il “repubblichino”
che aveva ucciso GiulioValente
venne processato e condannato a
11 anni di reclusione ( poi scarcerato
grazie all’amnistia concessa dal Governo di unità nazionale ).Capitò a Subiaco
per una partita di calcio. Riconosciuto, dovette fuggire precipitosamente,
inseguito dagli spettatori e protetto dai Carabinieri, pistole alla mano.
Dal Fronte di
Cassino
La speranza di liberazione da parte delle truppe alleate si materializzò
quando dagli Altipiani di Arcinazzo verso Affile e
Subiaco giunsero autocolonne tedesche in ritirata da Cassino e furono
bersagliate da tredici ore continue di
bombardamenti alleati, che inchiodarono carri armati e automezzi vari sul
terreno. Aerei alleati bombardarono anche l’abitato di Subiaco nel tentativo di
rallentare la ritirata tedesca in cerca di scampo al Nord. Poi le prime granate
alleate colpirono la piana di Agosta e Arsoli.I
Sublacensi piangevano per le loro case distrutte … e gioivano per i primi
annunci dell’arrivo dei liberatori.
Razzie e azioni
disperate dei guastatori in ritirata
La disperazione s’impossessò dei soldati fuggiaschi. Entrarono in azione
le SS Guastatori, con le loro sanguinose rappresaglie. Per ogni tedesco ucciso,
15 italiani fucilati. Lungo
Quei giorni furono drammatici. L’avanzata alleata
andava a rilento: Si sussurrava: “Gli
americani sono a Battipaglia… Hanno sfondato a Cassino” La popolazione era
tra due fuochi. Giungevano le notizie degli eccidi e quelle del progredire
dell’avanzata degli "alleati", finalmente annunciata da “allunghi” di
cannoneggiamenti dagli Altipiani di Arcinazzo fino
alla piana di Arsoli.
Lo scatenamento dei guastatori divenne massimo. Tra le macerie di Subiaco, si aggiravano, bevevano
vino, urlavano, rubavano nelle case, con tutte le porte sfondate.
Il mese di maggio è ricordato dai Sublacensi per i continui
bombardamenti giornalieri da parte di aerei “alleati”, a ondate continue. Tra
questi bombardamenti i più terribili, come abbiamo accennato, furono quelli
delle cosiddette “tredici ore”, lungo
PRIME APERTURE ALLA
GIOIA E ALLA SPERANZA
Gli ultimi tedeschi sparivano finalmente alla vista, ma si stentava a
credere che tutto fosse finito. Erano i giorni della fame nera. Per mesi nessuno aveva potuto coltivare, macinare, cuocere,
se non arrangiandosi nelle “tenne” di
campagna. Si uccidevano maiali e vacche e la carne era paradossalmente quasi
l’unico nutrimento, insieme con le erbe spontanee raccolte nei prati.
Arrivarono i primi liberatori.
Erano soldati indiani e africani francofoni. Gavino Sanna -
organizzatore del primo CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) in Subiaco e
primo “politico” del post-fascismo e post-occupazione - girava per le campagne
presentando questi soldati “esotici”, con le parole: “Ecco i nostri liberatori!”.
SAPORE DI PACE E DI
RICOSTRUZIONE
Nella valle dell’Aniene era veramente scoppiata la pace! Cominciò una
difficile ed esaltante ricostruzione. Il primo lavoro fu lo sgombero delle
macerie delle case distrutte e il “recupero” dei residuati bellici (carri
armati e camion tedeschi semidistrutti), nel timore delle mine “anti-uomo”
nascoste.
I cantieri per lo sgombero delle macerie disponevano di pochi mezzi tecnici,
come se si trattasse di lavori di scavo nelle miniere:vagoncini, frenati da una
semplice stanga, su binari instabili. Ma i Sublacensi erano comunque lieti: era
un lavoro, un primo lavoro, che avvicinava i tempi della ricostruzione vera e
propria. Fatica e speranze per tutti, con nuova alternanza di rimpianti dei
numerosi “sinistrati” (chi aveva perduto la casa), poveri costretti ad
accontentarsi della minestra “del Papa”, di indumenti arrivati dalla
Solidarietà USA, del grano dell’aiuto internazionale UNRRA- Piano Marchal.
Rinasceva con il CNL ufficiale, un’Amministrazione Comunale democratica,
in attesa del Consiglio Comunale, Giunta e Sindaco, eletti dal popolo.
Guardandosi indietro, agli eccidi nazi-fascisti, negli anni ’50 qualcuno
osò affermare che le nostre vittime in fondo non erano state prese con le armi
in pugno e quindi… non
erano veri resistenti martiri! Giuseppe Panimolle fin dall’inizio ha messo in
chiaro che tutti i cittadini colpiti dalla barbarie nazi-fascista sono vere vittime, veri
“resistenti”!
Nei nostri tempi i valori delle Resistenza, vanno riproposti e attualizzati: Diritti dell’Uomo, libertà democratiche,
cultura, solidarietà.
Gli studenti in visita guidata nei luoghi della Resistenza nella Valle
dell’Aniene saranno immersi in una situazione cognitiva ed emotiva.Qui potranno osservare, domandare, vedere anche con gli
occhi dell’immaginazione i fatti e i sentimenti della nostra Resistenza.
Auspichiamo che
tutte queste esperienze degli occhi e del cuore portino a una maggiore consapevolezza
sulla non violenza e la democrazia, vissute in ogni situazione. Impegnando
tutte le risorse delle persone: intelligenza, affettività e volontà:dalla storia, alla memoria del cuore, alla volontà
democratica.
Giuseppe Cicolini