“IL TEMPO SCORRE COME UN FIUME, MA L’ANIENE NON DIMENTICA”

 

E’ il motto che accompagna il logo della Rete per la storia e la memoria della Resistenza nella Valle dell’Aniene, con sede nel Comune di Castel Madama). (www.anieneresistenza.com)

Il tempo scorre come un fiume, ma l’Aniene non dimentica”. È una bella frase polisemica, quindi “difficile”, inventata da uno studente di oggi.

Per commentarla  possiamo ricorrere alle testimonianze dirette e indirette sui fatti, e soprattutto sulle emozioni e i sentimenti, che sostanziarono la Resistenza nella Valle dell’Aniene. Resistenza significò anche sofferenza, da parte soprattutto della povera gente. Dichiariamo le intenzioni - che sono schiettamente educative-, di questa piccola indagine psico-sociale sul versante dei sentimenti, emozioni, affetti, di ieri, durante i mesi della Resistenza nella Valle dell’Aniene; e oggi, quando questi sentimenti, depurati dal filtro dei valori condivisi e senza odio, tornano a rivivere poggiando sulla storia, cioè sui fatti oggettivi veramente accaduti tra noi nel 1944. Il nostro obiettivo è rinsaldare in noi, attualmente residenti e operanti lungo le rive dell’Aniene, il rifiuto dell’odio, della discriminazione razziale, della violenza imperialistica e guerrafondaia, della prepotenza politica. Questa è la Resistenza di oggi. Questo ci sta a cuore.

Il tempo scorre come un fiume…”: certo, è una metafora ben radicata nella nostra cultura e saggezza popolare. Il fiume porta  via tutto, il bene e il male, inducendo all’oblio e all’indifferenza. Così pare. Anche del tempo si può dire che cancella tutto...Ovviamente l’importante è che le popolazioni alle sponde del fiume siano veramente consapevoli del presente e del “passato che non passa”: abbiano, cioè, una cultura vivente, ricca di esperienze riflesse e di “racconto intergenerazionale”.Se questo fosse  assente, saremmo al “nomadismo delle menti”, fuori della cultura e tradizione della comunità locale.

Il pericolo non è tanto il tempo che passa- o delle correnti nel fiume (“ne è passata di acqua sotto i ponti!”)- ma l’assenza di un’autentica cultura della riflessione su di sé e sul passato. Guai ad essere tutti imbrigliati nel “presentismo” televisivo:  solo immagini - l’una delle quali cancella l’altra-, e “pensiero sbrigativo”! Occorre che ogni generazione s’impegni ad un lavorio di elaborazione del passato. Le televisioni, al contrario, mostrano più il lontano che il vicino e contribuiscono a interrompere la grande narrazione del passato, nel silenzio quasi “imposto” ai libri e agli anziani, cioè ai testimoni.

Il Prof. Domenico Federici, negli anni ’60 ha scritto un articolo-saggio intitolato La unità della Valle dell’Aniene”, in cui afferma che il fiume Aniene trasporta e racconta tutte le storie della Valle e delle convalli fino a Tivoli, dove s’incontrano e  si unificano. E’ vero. L’Aniene - il popolo dell’Aniene - sa anche narrare.

Da Filettino a Ponte Mammolo e Casal Bertone

Nel caso della Resistenza nella Valle dell’Aniene (dall’11 settembre1943 al maggio- giugno1944) l’Aniene è stato testimone di molti fatti della Resistenza contro l’occupazione nazi-fascista: della Resistenza attiva e di quella realizzata dal sacrificio delle molte vittime.

Storia delle Resistenza Aniense

Altri autori hanno scritto efficacemente la storia dei fatti della nostra Resistenza, sulla base di documenti, testimonianze, fotografie e interviste ai protagonisti. Siamo nel tragico 1944. Il 26 maggio avvenne la fucilazione dei 15 di Madonna della Pace (cittadini di Agosta, Canterano, Cervara, Rocca Canterano e Subiaco); il 6 giugno: strage di Colle Siccu (cittadini di Castel Madama e Tivoli); il 7 giugno: strage delle Pratarelle ( cittadini di Vicovaro); 8 giugno eccidio di Valle Brunetta ( cittadini di Cervara di Roma).

Giuseppe Panimolle, di Agosta, si accinge a pubblicare (dopo oltre un quarantennio dalla prima edizione) - per impulso della Rete per la Storia e la memoria della Resistenza nella Valle dell’Aniene – una rinnovata edizione del suo libro “Storia della Resistenza nell’Alta Valle dell’Aniene”. Questa volta includerà anche le drammatiche vicende tiburtine. Altri libri di storia  della Resistenza locale sono:Luigi Caronti Subiaco, il biennio più tragico della sua storia”;Fabrizio LollobrigidaQuel giorno a Madonna della Pace”, Alessandro ScafettaStoria sublacense 1943-45”- Voll. I e II.                                                                                                                Paolo Capitani, storico locale di Subiaco, ha pubblicato e narrato testimonianze storiche dirette e indirette, anche per immagini, su bombardamenti, rappresaglie e sofferenze indotte dalla guerra e dall’occupazione militare tedesca.

Altri sono impegnati in un analogo lavoro storico, per immagini e musiche. Ad esempio il “video” “FUI”, di Anacleto Lauri dell’Associazione VOC di Castel Madama. E inoltre in mostre storiche di cimeli della Resistenza.

Le scuole hanno cominciato ad organizzare visite guidate nei luoghi degli eccidi. Tali “sacrari” sono stati restaurati con decoro. Tutto questo è un freno all’oblio. E’anche un invito ad approfondire i “perché” dei tragici fatti: di chi furono le responsabilità. Come si rovesciò, contro le nostre popolazioni, la ferocia della volontà di potenza di ideologie  guerrafondaie e razziste. Perché occorre sempre fare argine contro prepotenti e sopraffattori di turno, nostrani o estranei. Perché occorre bandire ogni acquiescenza, opponendosi a chi minimizza le colpe e gli orrori.

MEMORIA DELLA RESISTENZA

L’Aniene non dimentica

Vorremmo dedicarci alla memoria, al dolore, ai sentimenti diffusi tra le popolazioni Aniensi di allora e di oggi. Ci rendiamo conto che è arduo smuovere emozioni e sentimenti profondi. Esiste un’eredità comune anche dei sentimenti e delle emozioni? Sì, solo se è testimoniata, richiamata ed espressa da qualcuno: è cultura immateriale, affidata anche ai singoli.

L’Aniene non dimentica.Il fiume è personificato; è come un essere pensante che non si toglie dalla mente persone, vittime e fatti della Resistenza. Non se li toglie soprattutto dal cuore (non li scorda).Non è andato  disperso- e non si deve disperdere oggi e domani- il significato umano di affetto, compassione per le vittime, orrore per le violenze, il raccapriccio per quanto è potuto accadere. E, di nuovo, e soprattutto, l’avversione e opposizione anche per la più piccola avvisaglia totalitaria, razzista e bellicista  che si manifesti oggi o domani.

Ci si sentiva disprezzati dai nazisti occupanti, come se fossimo una “razza inferiore”. Le marce ritmate degli scarponi tedeschi e i loro canti bellicisti rumoreggiavano contro la nostra dignità di persone.L’urlo e lo strazio che univa i cittadini “rastrellati” per le fucilazioni, le loro famiglie, i vicini di casa, fino nelle campagne, non deve essere dimenticato né ora né mai.  Si soffre ancora se ci s’immedesima, nei luoghi stessi in cui gli eccidi avvennero, nella situazione reale. Le foto, le date di nascita dei nostri concittadini fucilati, ci commuovono . Tranne che in qualche colpo di mano isolato, i nostri concittadini non avevano intrapreso veri atti di guerra nei confronti delle truppe occupanti, ma solo ostilità implicita e resistenza passiva.  Più che altro, come nel caso di Ottorino Passariello di Tivoli - direttore della Centrale Elettrica di Subiaco- avevano  salvato gli impianti dal sabotaggio dei guastatori SS dell’ultima ora. Per proteggere prigionieri ”alleati” sfuggiti ai campi, molti nostri concittadini si sono esposti alle più dure rappresaglie. Per proteggere gli Ebrei sublacensi, li fecero nascondere presso il Sacro Speco, fino al termine del pericolo. Anche qui con grave esposizione personale.

Le riflessioni di oggi non devono sfociare nell’odio per le persone dei fucilatori, ma piuttosto per le idee aberranti di chi li mandò allo sbaraglio, con ordini criminali di “sparare a vista”. I soldati occupanti, pur colpevoli, erano a loro volta presi nell’ingranaggio micidiale dell’organizzazione ideologica e bellica nazista, che metteva in conto violenze e rappresaglie anche contro le popolazioni civili. Non odio quindi, perché è stato l’odio sopraffattore all’origine di tutti queste aberrazioni.

La memoria del cuore

Tentiamo un parziale “viaggio” attraverso i luoghi in cui più che altrove le grandi emozioni si sono manifestate nel popolo: spavento, smarrimento, ribellione morale, compassione per le vittime, sdegno per i responsabili

A Filettino, come altrove, ci furono rastrellamenti alla ricerca di militari “alleati” fuggiti dai campi  di prigionia di Alatri e Carpineto Romano. Venivano”rastrellati” pure i civili sospettati di dare protezione a quei militari "alleati". In questi casi tutta la popolazione, minacciata di morte, trema, bloccata dalle armi spianate, nella piazza, per ore.

A Vallepietra, sempre alla ricerca di prigionieri fuggiaschi - inglesi, americani e australiani -, i nazisti cominciarono a sparare cannonate su per la montagna, in direzione del Santuario della SS. Trinità. Fin qui, poca paura e molta curiosità, perché i proiettili si disperdevano nel bosco…

Poi, riunione forzosa di tutto il popolo in piazza, con minaccia di morte se non si notasse una concreta collaborazione. I Vallepietrani - solo donne, vecchi e bambini (perché i giovani si sono nascosti per sfuggire all’arruolamento nella Repubblica Sociale Italiana ) si stringono tra loro, si abbracciano e non riescono neppure a parlare. Per loro parla - eccome!- il Parroco Don Salvatore Mercuri. Le sue parole coraggiose e la sua persona imponente, dopo alcune ore, allontanano il pericolo.       A Jenne, analogamente la pena fu grande e le famiglie si nascosero, per quanto poterono, nella campagna, nei boschi e a Fondi di Jenne, confondendosi con i pastori. Nei  vari paesi c’è sempre un tam-tam di donne che ripete: ”Uomini, scappate, i tedeschi vi cercano per farvi fare il militare per loro!”.

A Subiaco l’11settembre 1943 fu un giorno di ansia, rabbia, sorpresa, indignazione e.. infine rassegnazione al peggio! Gli storici locali raccontano che nel mattino una pattuglia di tedeschi motociclisti, armati di fucili mitragliatori, sparando qua e là, raggiunsero l’ex Stazione ferroviaria, dove, nel frattempo i 2-300 soldati italiani del distaccamento della Divisione “Piave” si erano come dissolti -(Tutti a casa!”)-: avevano gettato le loro armi e divise, avevano raccattato  abiti civili, e si erano dileguati. Qualche nostro soldato più anziano, mentre si cambiava furiosamente di abito, sbottava di rabbia contro i comandi militari italiani che aveva emanato ordini contraddittori. Intanto il re d’Italia, in fuga da Roma, percorreva la via Tiburtina da Roma a Pescara, sostando brevemente ad Arsoli.

I tedeschi, sostenuti dal generale Graziani in abiti civili, prendevano posizione e venivano  rafforzati da altre loro truppe giunte a Subiaco. Passò qualche giorno in cui ogni autorità locale era “spiazzata”, fino a che il comando tedesco sostenne la “continuità” dell’autorità del Podestà e dei Carabinieri, per collaborare  in qualche modo al controllo dell’ordine pubblico e della sicurezza.

Qualche giovanotto sublacense pensò bene, nella confusione, di “svaligiare” divise, elmetti, coperte giacenti nell’ex deposito militare italiano nel Palazzo della Missione e accanto alla caserma di Palazzo Piatti Moraschi, in Viale delle Repubblica. Tutto questo materiale sembrava utilizzabile, data la penuria e fame generale. Un drappello armato di tedeschi sorprese gli “svaligiatori”: qualcuno ne strattonò e sei furono bloccati, incarcerati e minacciati di fucilazione, se non fossero stati riconsegnati subito tutti gli oggetti sottratti, tra cui non c’erano armi.

I familiari degli incarcerati, in grande pena, fecero il giro delle case per recuperare tutto e riconsegnarlo. In quella circostanza si distinse per intelligenza e coraggio il giovane parroco Don Igino Roscetti, che fece da mediatore e garantì con la sua persona. Alla fine i nostri giovani furono liberati. Ma Don Igino maturò la convinzione che occorresse organizzarsi per non restare troppo a lungo alla mercé degli occupanti, mediante una rete di solidarietà a favore dei prigionieri alleati in montagna alla Crocetta, degli ebrei sublacensi e dei giovani italiani renitenti alla leva della RSI. Di tutte queste vicende Don Igino scrisse un memoriale, rintracciato da poco nell’Archivio di Stato da Alessandro Scafetta, storico locale.   Dopo la guerra Don Igino ottenne una medaglia al valore della Resistenza.

A Subiaco, mesi d’incerta e sospetta convivenza.

L’occupazione continuò nel segno di un’ambigua convivenza tra occupanti e sublacensi. Il Comando tedesco evidentemente aveva ordinato di non calcare la mano sui civili “occupati”, contro i rischi di boicottaggi, sabotaggi o attacchi armati. E per molto tempo furono evitate le esasperazioni degli animi dei sublacensi: non ci furono atti di aperta ostilità.

Erano state perquisite molte case alla ricerca di armi, anche se da caccia: molti cacciatori avevano nascosto bene in grotte o fienili i loro fucili da caccia. Non fu trovato niente!

Nel tentativo di fraternizzare con la popolazione, fu tollerato il piccolo scambio: sei uova per un tozzo di pane nero tedesco! E anche per qualche sigaretta. Si organizzò anche una partita di calcio tra “occupanti” e sublacensi…

Abbiamo accennato agli Ebrei residenti a Subiaco, minacciati di rastrellamento e deportazione. Essi furono protetti e nascosti al Sacro Speco di S. Benedetto. Molti   sapevano ma tacevano, per proteggere gli Ebrei. Taceva anche il monaco benedettino Don Paolo Strassen, tedesco sì, ma legato alla bontà evangelica e alla Regola Benedettina.

Poi furono requisiti muli e asini per il trasporto di materiali per costruire la linea difensiva di capisaldi tedeschi da Bellegra a Colle Colle Barili  e a Monte Calvo. In realtà erano obbligati anche i mulattieri sublacensi, mascherando la cosa con il pagamento di un’illusoria paga di cinquanta lire al giorno, monete stampate sul posto da ridicole macchinette tedesche.

In seguito, mentre filtravano le notizie proibite dell’avanzata alleata dal Sud d’Italia, i tedeschi si diedero al “vino zucchero”, all’indisciplina. Ai primi mitragliamenti alleati verso il Belvedere, gli occupanti costrinsero i passanti al lavoro di picco e pala. Tra gli altri l’Avvocato Pomelli. Se la presero persino con i bambini che facevano pipì sotto i loro camion militari, mascherati di frasche, per nasconderli agli aerei “alleati”, che cominciavano a fare apparizioni improvvise.

Reazioni alle violenze private tedesche

La soldataglia tentò di insinuarsi in qualche casa privata. Furono sempre respinti. Il Comando tedesco volle dare l’impressione di intervenire a favore delle famiglie sublacensi e spedì al fronte i responsabili. Questo drammatico equilibrio durò ancora per un po’, poi l’occupante gettò la maschera, mostrando sopraffazione e violenza.

Militari del Battaglione “repubblichino” di stanza a Subiaco, che rastrellavano i renitenti alla leva della RSI, uccisero a fucilate il giovane Giulio Valente, che fuggiva lungo Via della Pila, proprio lungo l’Aniene. Una bambina di dodici anni fu colpita a morte, in Via dei Piattari, solo perché dalla sua cameretta filtrava una lama di luce, nell’oscuramento notturno. I due fatti provocarono ondate di rabbia tra la popolazione.  Anni dopo il “repubblichino” che aveva ucciso GiulioValente  venne  processato e condannato a 11 anni di reclusione  ( poi scarcerato grazie all’amnistia concessa dal Governo di unità nazionale ).Capitò a Subiaco per una partita di calcio. Riconosciuto, dovette fuggire precipitosamente, inseguito dagli spettatori e protetto dai Carabinieri, pistole alla mano.

Dal Fronte di Cassino

La speranza di liberazione da parte delle truppe alleate si materializzò quando dagli Altipiani di Arcinazzo verso Affile e Subiaco giunsero autocolonne tedesche in ritirata da Cassino e furono bersagliate da tredici ore continue di bombardamenti alleati, che inchiodarono carri armati e automezzi vari sul terreno. Aerei alleati bombardarono anche l’abitato di Subiaco nel tentativo di rallentare la ritirata tedesca in cerca di scampo al Nord. Poi le prime granate alleate colpirono la piana di Agosta e Arsoli.I Sublacensi piangevano per le loro case distrutte … e gioivano per i primi annunci dell’arrivo dei liberatori.

Razzie e azioni disperate dei guastatori in ritirata

La disperazione s’impossessò dei soldati fuggiaschi. Entrarono in azione le SS Guastatori, con le loro sanguinose rappresaglie. Per ogni tedesco ucciso, 15 italiani fucilati. Lungo la Via Sublacense fu trovato un tedesco morto. Non si è mai saputo se fosse stato o no ucciso da qualche civile…Ma intanto quindici uomini furono rastrellati nella Campagne di Madonna della Pace e fucilati, in una valletta a duecento metri dal fiume Aniene, sulla Via di Canterano. La notizia sconvolse di dolore tutte le contrade intorno a Madonna della Pace: Agosta, Cervara di Roma, Canterano, Rocca Canterano, Subiaco. L’”Associazione vittime della rappresaglia di Madonna della Pace” ricorda e soffre ancora oggi per quella violenza. Altre vittime della feroce repressione ci furono a Pratarelle di Vicovaro. A Colle Siccu di Castel Madama, l’eccidio fu  simile a quello di Madonna della Pace. E il dolore e la ribellione si diffusero fino a Tivoli. A Valle Brunetta, tra Cervara di Roma e Camerata Nuova, quattro Cervaroli, dopo essere stati costretti a seguire, con i loro muli, una pattuglia tedesca. Sulla via del ritorno furono fucilati. Un foglio, descritto loro come “salvacondotto”, portava invece la scritta “Uccideteli come spie”! Che raccapriccio!

Quei giorni furono drammatici. L’avanzata alleata andava a rilento: Si sussurrava: “Gli americani sono a Battipaglia… Hanno sfondato a Cassino” La popolazione era tra due fuochi. Giungevano le notizie degli eccidi e quelle del progredire dell’avanzata degli "alleati", finalmente annunciata da “allunghi” di cannoneggiamenti dagli Altipiani di Arcinazzo fino alla piana di Arsoli.

Lo scatenamento dei guastatori divenne massimo.  Tra le macerie  di Subiaco, si aggiravano, bevevano vino, urlavano, rubavano nelle case, con tutte le porte sfondate.

Il mese di maggio è ricordato dai Sublacensi per i continui bombardamenti giornalieri da parte di aerei “alleati”, a ondate continue. Tra questi bombardamenti i più terribili, come abbiamo accennato, furono quelli delle cosiddette “tredici ore”, lungo la Via Sublacense nei pressi della “Cava” e a Ponte Cagnano. Era un modo per bloccare la colonna tedesca in ritirata da Cassino. I bombardamenti continuarono anche nei primi giorni di giugno. Subiaco fu distrutta per quasi l’80%. Dopo la guerra fu conferita alla città la Medaglia di Bronzo al valor Civile.

PRIME APERTURE ALLA GIOIA E ALLA SPERANZA

Gli ultimi tedeschi sparivano finalmente alla vista, ma si stentava a credere che tutto fosse finito. Erano i giorni della fame nera. Per mesi nessuno aveva potuto coltivare, macinare, cuocere, se non arrangiandosi nelle “tenne” di campagna. Si uccidevano maiali e vacche e la carne era paradossalmente quasi l’unico nutrimento, insieme con le erbe spontanee raccolte nei prati.

Arrivarono i primi liberatori.  Erano soldati indiani e africani francofoni. Gavino Sanna - organizzatore del primo CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) in Subiaco e primo “politico” del post-fascismo e post-occupazione - girava per le campagne presentando questi soldati “esotici”, con le parole: “Ecco i nostri liberatori!”.

SAPORE DI PACE E DI RICOSTRUZIONE

Nella valle dell’Aniene era veramente scoppiata la pace! Cominciò una difficile ed esaltante ricostruzione. Il primo lavoro fu lo sgombero delle macerie delle case distrutte e il “recupero” dei residuati bellici (carri armati e camion tedeschi semidistrutti), nel timore delle mine “anti-uomo” nascoste.

I cantieri per lo sgombero delle macerie disponevano di pochi mezzi tecnici, come se si trattasse di lavori di scavo nelle  miniere:vagoncini, frenati da una semplice stanga, su binari instabili. Ma i Sublacensi erano comunque lieti: era un lavoro, un primo lavoro, che avvicinava i tempi della ricostruzione vera e propria. Fatica e speranze per tutti, con nuova alternanza di rimpianti dei numerosi “sinistrati” (chi aveva perduto la casa), poveri costretti ad accontentarsi della minestra “del Papa”, di indumenti arrivati dalla Solidarietà USA, del grano dell’aiuto internazionale UNRRA- Piano Marchal.

Rinasceva con il CNL ufficiale, un’Amministrazione Comunale democratica, in attesa del Consiglio Comunale, Giunta e Sindaco, eletti dal popolo.

Guardandosi indietro, agli eccidi nazi-fascisti, negli anni ’50 qualcuno osò affermare che le nostre vittime in fondo non erano state prese con le armi in pugno e quindi…  non erano veri resistenti martiri! Giuseppe Panimolle fin dall’inizio ha messo in chiaro che tutti i cittadini colpiti dalla barbarie nazi-fascista sono vere vittime, veri “resistenti”!

Nei nostri tempi i valori delle Resistenza, vanno riproposti e  attualizzati: Diritti dell’Uomo, libertà democratiche, cultura, solidarietà.

Gli studenti in visita guidata nei luoghi della Resistenza nella Valle dell’Aniene saranno immersi in una situazione cognitiva ed emotiva.Qui potranno osservare, domandare, vedere anche con gli occhi dell’immaginazione i fatti e i sentimenti della nostra Resistenza.

Auspichiamo che tutte queste esperienze degli occhi e del cuore portino a una maggiore consapevolezza sulla non violenza e la democrazia,  vissute in ogni situazione. Impegnando tutte le risorse delle persone: intelligenza, affettività e volontà:dalla storia, alla memoria del cuore, alla volontà democratica.

Giuseppe Cicolini