MESTIERI NELLA TRADIZIONE DELLA VALLE DELL’ANIENE
(“Il passato è un prologo”…ma solo se incontra l’innovazione)
IL FALEGNAME
Il mestiere del falegname in passato era largamente praticato e forniva un reddito sufficiente.
A Subiaco nel Settecento si
registravano “falegnami, ebanisti,
bottai e tinozzai”.
Una delle possibili destinazioni per gli apprendisti era proprio andare a bottega da un falegname esperto.
Ed esperti erano un
po’ tutti, gli unici adulti che dovevano imparare a leggere e scrivere
(non dimenticandolo col crescere dell’età) e soprattutto
l’aritmetica e la geometria. Un lapis
grande e schiacciato era sempre in bilico sull’orecchio destro di ogni
falegname.
Da Roma venivano i modelli
di falegnameria più evoluti ( ma anche da Sora). I giovani apprendisti
falegnami romani venivano così descritti da un anonimo poeta
popolaresco:”Cqua, regazzino,alò, pija er martello,
le tenajie, la sega,
du’ codette,
li rampini, li chiodi, le bollette,
la pianozza, la squadra e lo scarpello.
Mettesce l’ascia, le lime,
l’accette,
la raspa, er piommo, ere trapano, er trivello,
du’ vite, na
strettoria er callarello
dela colla, lo stucco e un par
de fette”.
Il povero apprendista
correva e correva: doveva capire a volo
i nomi di tutti gli attrezzi
. Se qualcosa andava male era sempre colpa sua!
Raramente ad un falegname si
commissionava l’intero arredamento di una casa: neppure gli sposi ( se
non ricchi) se lo potevano permettere.Ci si faceva fare un mobile e poi un
altro… negli anni. Indispensabili erano un letto, un tavolo e due o tre
sedie.
I falegnami erano sempre un po’ scontenti del guadagno, ma in media vivevano assai meglio della media del popolo.
Il vecchio falegname coi
baffi Francesco Sansini faceva anche lo spiritoso:”Perché
se chiama FALEGNAME? Che fa lo legname? Allora perché ju feraru, non se chiama fa-lo-fero?”.
Ma intanto, dopo gli
attrezzi della tradizione, arrivava la sega elettrica, soprattutto per fabbricare gli infissi.
La produzione divenne
più veloce e remunerata. Crebbero purtroppo anche gli incidenti.
L’arca. la
“mastra” e la ”cassa” per gli indumenti cedettero il
passo agli armadi, comò,
cornici. A Camerata Nuova gli”ARCARI”
si sono rimessi al lavoro, e producono per la bellezza, appunto, della
tradizione.
Pochi coraggiosi si
buttarono sull’innovazione e oggi costruiscono con l’ausilio di
nuove macchine e del computer. Frequentano anche i grandi mercati della Brianza e
Antonio Pistoia riferisce
sui suoi studi teorici e pratici di falegnameria: il computer serve per i
preventivi, per il disegno, le misure, la parte commerciale dell’azienda
artigianale.
Chi non è stato
pronto ad abbracciare il nuovo, si è ritirato.
Vecchi e nuovi falegnami si
sfogano ( ma anche si dimostrano orgogliosi del loro mestiere):” Ma che razza di lavoro! Il legno continua a
vivere anche quando è messo in opera…. non finisce mai di
cambiare….”
Come il legno, così il falegname.