Nei
secoli, tutti e cantare l’elogio della vita del contadino…”O
fortunati agricoltori…”, poetava Virgilio. “Contadino,
scarpe grosse e cervello fino”, proclama un proverbio. Ma lasciamo
stare….La condizione del contadino non era quasi mai scelta: era una
sorta di destino, anche e soprattutto nella Valle dell’Aniene.
Per di più qui non abbiamo mai avuto un’agricoltura ricca, ma piccole proprietà con coltivazioni molto varie, utili alla semplice sussistenza della famiglia.
La
regola era una famigliola con casa al centro abitato e “tenna”
in campagna, un asino e una stalla-granaio nello stesso centro abitato.
Eccezioni
erano,. da un lato, i contadini “ricchi” soprannominati “casaricciotti”
e i braccianti agricoli, senza terra, che vivevano letteralmente “alla
giornata”.
I “casaricciotti”
possedevano vari appezzamenti di terra, che lavorano direttamente e mediante
“opere” (lavoro di braccianti “a giornata”), avevano
anche bestiame e una grande
casa patriarcale con cantina,
granaio e stalla.
Potevano “rispondere” alle
aste delle erbe comunali, vendevano molto alle fiere , dove, senza farlo
apposta, esibivano massicci rotoli di banconote. Ogni tanto compravano una casa
o un campo, vendevano legna, carbone vegetale e calce della “calecara”,
facevano i “festaroli” nella festa gestite dalle
Confraternite. Erano persone miti, erano autorevoli, ma non si sentivano padroni.
C’erano le autentiche dinastie:i Rapone, i
Caponi, i Vannoli……:Persone rispettabili sotto ogni punto di vista.
Nel
1851 furono contati nel territorio
di Subiaco 12 cavalli da sella (chiamati cavalcature), 5 da tiro, 72 muli da basto,18 da tiro, 347 asini da
basto.Si può immaginare che i cavalli e i muli fossero di contadini
più ricchi; gli asinelli, dei poveri .
Per nutrirsi, quasi tutti provvedevano
con i prodotti del proprio campo, e poi con i polli ( c’era abbondanza di
uova), conigli e maiali.
Alcuni
possedevano vacche che “avviavano” al pascolo brado nella
montagna di Livata e dintorni.
Per i poveri c’era scarsità di tutto, soprattutto di denaro.
Zappa,
vanga e bidente erano strumenti abituali di lavoro della terra. La zappa nelle
terre sassose, la vanga nelle “imare” (le terre basse) lungo
il fiume,il bidente dove i sassi erano troppi, dopo lo spietramento in superficie..
Ogni
tanto, per dare respiro ( ossigeno) al terreno ed eliminare del tutto pietre e
tufi si procedeva al faticosissimo “scassatu”: due metri in
profondità. Proverbialmente se qualcuno era stanco gli si diceva:”
Che si fattu lo scassatu?”
Si
mangiava il cibo portato dalle donne -tutte laboriosissime- e si beveva ”acquatu”, che dava
forza muscolare ma non stordiva.
Un procedimento particolare era il lavoro dei “giornalieri”. Il proprietario lavorava tra gli altri, portava la “sena”, cioè la linea di avanzamento della parte zappata o vangata.
Le
donne contadine erano veramente “donne forti”. A loro competeva
ovviamente la maternità, ma anche l’educazione dei figli, la manutenzione
e della casa,la collaborazione al lavoro dei campi, l’allevamento di
polli e conigli, la filatura e la
tessitura di calzette e maglie, la panificazione.
L’immagine di tutti questi lavori era una madre di
famiglia con una grande canestra in testa, il figlioletto per mano, con i ferri
da maglia sempre pronti per sfruttare ogni minuto favorevole…
Quando
un contadino povero sposava la figlia di un contadino ricco si diceva che
“ à itu a appiccà ju cappeglio”.
Tutti
i contadino consideravano il Barbanera
( o più recentemente Frate Indovino come una lettura
indispensabile) per il calendario dei lavori e S. Antonio come un potente
protettore della salute del bestiame.
La maggior parte delle regole sul tempo meteorologico e sui lavori era espresso da un gran numero di proverbi.
“
A Gennaio la gran freddura, a San Lorenzo la gran calura: l’uno e
l’altro poco dura”